Monday, October 24, 2011

Forward-Rewind


"Quando desideri qualcosa, tutto l'universo cospira affinchè tu  possa ottenerlo".

Londra. Un proiettile sparato a bruciapelo, un colpo esploso. SBAM! e lo senti dritto al cuore.
REWIND.

La pellicola va indietro veloce, è il 2008 ed io sono felice, o almeno credo di esserlo. Sicuramente credo di sapere quello che voglio.
In realtà non lo so, sono confusa. Non riesco più a dare valore alle cose per le quali ho lottato, di conseguenza non ne hanno più alcuno. Sono a casa, a Roman Way, sono al computer e scrivo ad uno sconosciuto. "Non credergli, sta mentendo!" quella dentro di me è una voce che non riesco a sentire, viene da troppo lontano, viene dal futuro.
Vorrei cancellare l'ostacolo ma sono inciampata e quindi riparto da qui, dalla consapevolezza di essere caduta, di aver sanguinato, di aver lavato le ferite e medicato i lividi. Però la cicatrice c'è ed è giusto esibirla sulla pelle.

FORWARD.
Londra.
E' il 24 Ottobre 2011.Ora locale 11,45 e 30 secondi. L'ora scandisce il tempo ma il tempo viaggia veloce tra l'oggi e ieri ed io ho male alle tempie perché sono consumata dai pensieri. GUARDAMI, sono seduta sulla poltrona della mia agenzia di moda, quella bordeaux di pelle lucida, la stessa di anni fa, quella sulla quale mi ero giocata con successo l'opportunità di diventare una modella internazionale, una modella con esclusiva per una major. E questa volta chi decide sono io, la modella di fronte a me mi guarda con gli occhi blu, grandi come palle da biliardo. Sembra una bambina, sembravo anche io una bambina? Dov'è la mia innocenza?

REWIND.
Londra. Ottobre 2004. Sono a Covent Garden, nella piazza del mercato, parlo al telefono. Ho la gola che fa male perché sto trattenendo il respiro, sto trattenendo anche le lacrime, non voglio far sapere alla persona con la quale parlo che forse ho sbagliato, che forse le cose non andranno bene, che farà male al mio orgoglio se non ce la farò. Le cose andranno bene ma io in quel momento non lo so, ed anche questa volta la mia voce è troppo lontana per rincuorarmi ed io per una strana empatia sento la gola chiudersi all'improvviso e il respiro mi manca per un istante che sembra infinito.

FORWARD
Londra. 24 Ottobre 2011. La giornata si è consumata veloce e la notte ha inghiottito gli ultimi bagliori del giorno. Ho le card delle modelle per il prossimo shooting e devo solo fare ordine tra le idee, parlare con le truccatrici, decidere lo styling. Voglio tornare qui? non c'è niente che possa impedirmelo se non che la mia volontà, è quello che voglio? Desidero che quella voce dal futuro mi raggiunga adesso, che mi dia tutte le risposte, che mi sveli come andrà ma anche questa volta, come le altre, io non la sento...


Friday, August 26, 2011

Il paradiso non ha finestre


Dalla finestra filtrava una luce cerulea. Il sole non c'era quasi mai ed io non possedevo che quella luce opaca e smorta. Si affacciava flebile da quell'unica finestra della cucina.
Nell'appartamento non c'erano altre finestre. Il mondo era tutto li e sembrava fatto di moquette e mensole.

La poggiavo sul ripiano alto del frigorifero, facendo attenzione che non fosse troppo in bilico e che non cadesse. L'amavo più di ogni altra cosa che possedevo.
Facevo attenzione che il fuoco fosse ben calibrato e che riuscisse a ritrarmi così come volevo.
Desideravo vedermi attraverso l'occhio vitreo della sua lente.
Così mi specchiavo sulla superficie liscia, cercando il mio riflesso.

Ho consumato delle ore, dei giorni in sua compagnia. Niente mi sembrava più desiderabile. L'amavo perché nessuno sapeva raccontare meglio le infinite versioni di me, catturare le sfumature e le inclinazioni del mio carattere.

Lei sola enfatizzava la mia vanità, appagava la mia creatività e nello stesso tempo criticava feroce la mia mancanza di tecnica.
Mi raccontava le cose che volevo ma anche quelle che non avrei voluto.
L'onestà, non la realtà, era alla base di questo consistente, martellante processo dialettico.
Le sue critiche erano le uniche che mi sembravano accettabili, poteva dire qualsiasi cosa ed io le avrei creduto.

Negli anni ha continuato ad esserci. C'è sempre stata. Se delle volte mancavo alla consueta assiduità mi rimproverava offrendomi dei risultati scadenti, poi però mi perdonava tutto.

Ma il connubio più importante è iniziato dopo, quando mi ha insegnato a vedere le cose, i luoghi e le persone.
E' stata l'unica a chiedermi di chiudere un occhio per vedere meglio.
L'unica ad insegnarmi che per vedere non basta guardare.

Mi chiedeva però di contraccambiare i suoi insegnamenti raccontandole ciò che sapevo. Si nutriva di arte di cui amava il senso della composizione e del colore.
Adorava la musica, credeva di sentire un'affinità elettiva con il concetto di ritmo, pausa e lirica. Il cinema poi le piaceva tutto, sembrava ingoiata dai bianchi e neri delle vecchie pellicole e dai colori sgargianti dei film americani. Poi li emulava in modo sublime.

Io le raccontavo ogni cosa, riversavo in lei tutto il mio sapere. Da allora abbiamo guardato insieme le riviste di moda in maniera diversa da come facevo prima. Concordavamo nel pensare che niente è più importante della bellezza e che la bellezza è un attitudine, un respiro, un senso speciale per le cose.

Ritraendo i volti mi ha insegnato a guardare oltre la loro pura e semplice fisionomia, a guardare oltre la maschera di carne e ossa di cui siamo fatti e dalle imperfezioni mi ha mostrato la macchia sulla loro anima.

In un giorno di tristezza, ha catturato il mio volto, ha voluto che vedessi l'oblio profondo dei miei occhi e così mi ha insegnato il valore della memoria e l'importanza della felicità.

Abbiamo capito che insieme possiamo modificare distorcendo, tagliare fuori dall'inquadratura, ignorare quello che non ci piace per ridisegnare un mondo fatto a misura.
L'importanza del soggetto sull'oggetto e nulla più.
Viene di conseguenza che se voglio posso ignorarti, che se non sei lì, nella rifrazione luminosa di un pixel, allora non esisti.

Tutto è o non è, nel cono di luce che ho ritagliato dall'oscurità.



Tuesday, August 23, 2011

Tra le cose


Io sono tra le cose, tra le TUE cose.
Sono seduta accanto a te mentre guidi verso casa.
Sono nella musica che ascolti.

Sono in tutte le parole che pronunci perché tutte le possibili combinazioni hanno viaggiato fra noi.

Io sono il ricordo di un viaggio lontano. Io sono tra le tue lenzuola.

Io sono un tavolo per due nel ristorante che ti piace.

Il sole ti ricorda i miei capelli ed i miei capelli sono raggi di sole tra le tue mani.

Io sono il passare delle stagioni, dei giorni, degli anni.
Io sono il riflesso sulla foto che ti ritrae.

Io sono indelebile.

Io sono la presunzione di sapere che è così e tu la volontà di fingere che non lo sia.

Io sono quell'attimo di felicità, la sensazione di essere una persona migliore, io sono i profumi ed i ricordi, le esperienze ed i sogni.

Rarefatta come aria, puoi anche non percepirmi ma non puoi fare a meno di respirarmi.












Tuesday, May 31, 2011

Please baby bring me home


Ora con le pareti spoglie, svuotata dei suppellettili, fredda come se non mi fosse mai appartenuta.
Un contenitore senza contenuto.
Un involucro senza sostanza.

Le geometrie degli spazi ridisegnati da una luce opaca che rimbalza debole sulle pareti color crema. Dentro la stanza niente è più come prima mentre fuori resta stranamente familiare, con i soliti rumori che strisciano sull'asfalto e si arrampicano sulla cortina.
Pochi i vestiti nell'armadio, quelli che servono ormai per questo ultimo giorno.
Sembrano corpi senza ossa che danzano nello spazio limitato di un armadio balera.

Dovrei sentirmi un pò infelice. Dovrei ma non lo sono. Non provo neppure colpa per questa mancata infelicità.
Ho solo voglia di tornare a casa e di ritrovare quell' estate perduta, le mie corse in villa, la mia camera dalle pareti lilla.

Ho troppo bisogno di domani per pensare ad oggi, alle valigge nel corridoio, alle lenzuola ancora sfatte, alle ragazze che stasera balleranno senza di me.

Ho bisogno di sentire la mancanza di quello che non avrò più, della mia Barcellona, delle strade regolari delle Eixample, dell'appartamento in carrer de Provença.

E sono giorni dannazione che ho voglia di un Martini, che ho voglia di brindare a me, a questo ritorno, a questo infinito senso di onnipotenza che mi fa credere con certezza che le cose stanno andando bene, stanno andando proprio come voglio io.

Consumiamo questa ultima notte, amiamoci fino a domani e quando la luce filtrerà per l'ultima volta tra le fessure dei battenti prendimi la mano, tienila stretta e per favore, portami a casa.


Monday, April 11, 2011

Effortless


Effortless.
Ho cercato una parola che potesse sostituirla ma non l'ho trovata.
Non c'è ne una, in italiano, che abbia la stessa efficacia, la stessa ampiezza di significato.
Innato, naturale e senza sforzo. Per renderne il senso bisogna usarne almeno tre.
Invece per quell'abbreviazione, quelle semplificazioni che la lingua anglosassone consente il concetto risiede tutto lì, in un unica semplice parola: Effortless.

Questo è il mio nuovo traguardo, quello a cui voglio arrivare. Non solo la perfezione ma la leggerezza, la facilità con cui la si consegue.
L'improvvisazione del talento.
Sono intensi giorni quelli in cui bisogna riscrivere la propria meta, i nuovi obiettivi. Mentre si piegano i vestiti nella valigia ci si assicura di avervi riposto anche tutto quello che si è imparato ed è stato tanto, veramente tanto.
Eppure la conoscenza a differenza degli oggetti che ti carichi sulle spalle, ti rende inaspettatamente leggera.

Ho imparato che noi siamo gli artefici della nostra felicità e che noi possiamo scegliere se stare male un mese o un anno, un giorno o una vita. Noi solo dobbiamo dare un senso alle cose, che le cose in se non ne possiedono alcuno. Che l'esperienza ci avvicina agli altri e fino a quando alcune cose non le abbiamo vissute non potremo mai veramente capirle.

Ricordo bene il giorno in cui formulai quel pensiero.
Mi sembrava spiegasse molte cose di me, delle persone che ci sono state nella mia vita e che poi per una ragione o un altra non c'erano più.
Ma ora ho capito che delle volte l'assenza conferisce alle persone una dignità che non hanno mai posseduto. Nei miei ricordi, in quella incapacità di perpetuare il rancore, ho involontariamente distillato il bene e ne ho fatto un elisir prezioso che ungeva l'opinione che avevo conservato degli altri.
Quando la vita poi, ci mette di fronte ad un inaspettato ritorno di quella persona ecco arrivare con essa la verità. Non possiamo più negarci quanto ci siamo sbagliati, tutti i difetti sono ora insopportabili perché di fatto abbiamo smesso di volergli bene, abbiamo smesso di giustificarli.

Ecco quello che penso: Delle volte bisogna dirsi addio, essere sicuri che sia per sempre. Desiderare di non incontrarsi mai più in questa o in un'altra vita.

E non è un caso che lo dica proprio ora che sto per partire, proprio ora che, al contrario, so che alcune persone ci saranno davvero per sempre.
La parte migliore delle persone risiede nel buon ricordo che hai di loro e niente più.

I tempi sono maturi, è stato il brillare di alcune stelle ad avermelo suggerito ed ora non vedo l'ora di sapere se manterranno le promesse che mi hanno fatto da lontano.












Wednesday, March 23, 2011

Las piedras que van a saber de amores


E' arrivato il tempo di ripartire.
Sapevo sarebbe successo.

Un placido sole e una brezza primaverile mi hanno sfiorato le gambe, hanno fatto ondeggiare l'orlo della gonna, mi hanno baciato le guance accarezzandomi piano i capelli poi il vento si è raffreddato nella bruma di una sera di primavera.

Guardo la città spiegarsi sotto i miei occhi. La Barcellona dei romanzi di Zafón, con le anguste stradine "tra edifici tetri e cadenti che sembrano chinarsi come salici di pietra per chiudere la linea di cielo ritagliata dai tetti".

Sento un nodo alla gola e non posso fare a meno di ricordare il giorno in cui sono arrivata con una valigia piena di cose e un cuore ancora più pesante.

Morii qui, mi lasciai in eredità alla terra, vagai come un fantasma tra le strade strette inondate di luce bianca e consumate dal sale e dal sole.
E dalle ceneri rinacqui come una fenice.

Vorrei portare via ogni cosa, le quattro mura di questa stanza, la vista dal mio balcone, il brusio di calle Provença che si placa solo quando è sera. Ed invece devo lasciare tutto qui, come il mio dolore.
Ai luoghi si rimane imprigionati, una parte di te rimane incollata sulle superficie porosa degli edifici, nei lastricati lisci delle strade, sulle indicazioni metalliche dei segnali stradali, nel riverbero luminoso delle insegne dei negozi.
Così come una parte della città continuerà a palpitarti nelle vene e ti porterai via un mondo che altri percepiranno sempre come straniero.

Bisogna andare, partire è il prezzo da pagare per chi ha tante, forse troppe ambizioni.

Un addio che durerà due mesi, poi tutto ricomincerà altrove, una volta ancora, come sempre.


















Sunday, February 06, 2011

Come le foglie


Un ostinato, perpetuato silenzio. Voluto, stimato, ponderato.
Non perché non ci sia nulla da dire, perché non siano accaduti fatti rilevanti. Al contrario.
Bisogna sapere riconoscere il momento, quello in cui parlare ha un valore e quello in cui tacere ne ha uno maggiore.
Condividere i miei pensieri mi sembra delle volte una concessione di gran lunga troppo generosa anche per gli auditori più squisiti, figuriamoci gli altri.

Sai con quanto disprezzo dico "altri".

La parola è sopravvalutata.

Tuttavia ora qualcosa voglio raccontartela.
Verso la fine di Dicembre sono tornata a Londra. Un viaggio tutt'altro che programmato, l'immediatezza ha impedito alla coscienza quegli inutili riflussi di sensi di colpa. Ed è stato strano, a tratti surreale, rivedermi lì in quel aeroporto da dove sono partita mille volte tranne che l'ultima.
Metaforicamente o no una parte di me è rimasta lì, una parte di me non è mai partita.
"Lasciarci in eredità" ai posti dove siamo stati è una delle cose più malinconiche e sublimi che possano accaderci.
Mentre aspettavo il treno per arrivare in città, sono stata abbracciata da una morsa gelida di vapore e oscurità.
Ho sentito il rumore delle scale mobili stridere rumorosamente nel ventre grigio della stazione. Un ostile benvenuto, ho pensato.
Ed invece no, perché nonostante le ragioni avverse che mi ci hanno portato, mi sono resa conto di quanto quella città mi somigli. Le strade percorse mille volte, la ragnatela della metropolitana che conosci a memoria, le persone che sono sempre diverse e tutte estraneamente uguali.

Mi sono sentita più a casa che nel territorio iberico e questo mi ha fatto riflettere, molto.
Ho amato ricordarmi li, ho ricordato di essere stata felice.
Forse è tempo di rifare la valigia.

Il Natale dovrebbe avere a che fare con la nascita, con il rigenerarsi ed invece io l'ho trascorso come una decorazione sull'albero, deliziosamente addobbata in attesa d'altro. Se non ti porta regali, di sicuro ti porta grandi riflessioni sulle quali intrattenerti. Io ne ho avuta una fra tutte. D'altro canto non c'era da stupirsi, i segni si erano manifestati da tempo.
Non so spiegarlo ma non provo dolore, non provo neppure dispiacere.

Ed ora che tutto questo è passato io so che mi aspetta una grande prova. Che devo prendere delle decisioni importanti, che il tempo è arrivato ed io sono pronta.
Il vento sta cambiando, ancora.