Tuesday, October 23, 2012

Se questa fosse una storia

In una sera d'Ottobre, dopo aver cenato con alcuni amici in un ristorante di May Fair, si incamminò verso casa.

Non faceva freddo ma aveva piovuto e l'umidità era tutto intorno come una patina opaca e bagnata, una pellicola di cellophane  appiccicosa che con persistenza avvolgeva ogni cosa.
Aveva le gambe lunghe e magre indolenzite dalle estenuanti corse alle quali si era sottoposta con intransigenza da mesi, ogni giorno, in nome di quel benessere che alla fine, lei lo sapeva, era più mentale che fisico.

Camminava con passo svelto con un'andatura oscillante accentuata da quei tacchi altissimi che la facevano sembrare ancora più magra, più sottile, un filo d'erba.
Teneva le braccia intorno al corpo serrate in un abbraccio.

Si infilò giù scendendo rapida le scale mobili della metropolitana. Fece attenzione a non urtare le persone che sostavano sul lato destro, trasportate da quel cigolante nastro metallico mentre veloce scendeva nella pancia della terra.

La luce verdognola del neon sfarfallava con una  intermittenza quasi impercettibile.
Salì veloce su vagone del primo treno. Scese alla prima fermata poi a passo ancora più ritmato camminò tra i cunicoli stretti e bassi.

Doveva arrivare a prendere l'altra linea, collocarsi li dove inizia la banchina e dove il primo vagone del treno avrebbe sostato.
Sapeva bene che se si fosse collocata in quella posizione, nella stazione di Oxford Circus, una volta arrivata a destinazione si sarebbe trovata nella parte più vicina all'uscita e avrebbe risparmiato alle sue sottili gambe stanche diversi metri.
Si collocò li dove era previsto e diede una rapida occhiata al cartellone luminoso. Due minuti ed il treno sarebbe entrato in stazione.

Due minuti, è strano a credersi ma, delle volte, è il tempo necessario ad avvicinarci a qualcuno, il tempo necessario a scrivere un nuovo capitolo, magari una nuova storia. Due minuti, cosa sono due minuti?  un tempo infinitesimale se considerata un' intera esistenza.
Fu in quel momento che lo vide arrivare con un passo deciso. Lei che pure era abbastanza attenta come osservatrice, non gli avrebbe prestato attenzione se lui non avesse scelto quella posizione con la stessa sicurezza con cui lei lo aveva fatto solo qualche secondo prima.
Lei ebbe l'immediata consapevolezza che la scelta di  lui di collocarsi in quel posto era pertinente come la sua.
Era alto e magro. Indossava un impermeabile scuro. Una serietà austera gli irrigidiva i lineamenti. Una bocca non troppo grande ma ben disegnata, una fronte spaziosa.
Il treno arrivò in stazione con il solito rumore assordante di freni e con una ventata che la fece retrocedere qualche passo dalla linea gialla tracciata sul marciapiede.
Aspettò che i passeggeri scendessero poi con un saltello salì sul treno.
Vide un posto a sedere e sperò di potercisi accomodare ma il ragazzo con l'impermeabile era già li. Stava per sedersi quando la notò e fece cenno per cedergli il posto.
Lei si affrettò a pronunciare un gentile diniego, così come si deve in quelle circostanze ma lui fu prontamente categorico.
" Please do it!"

Lei prese posto e qualche fermata dopo anche lui trovò a sedere nella fila di fronte.
Per un attimo i loro occhi si incrociarono.
Poi si guardarono ancora ma questa volta nessuno dei due abbassò lo sguardo. Solo alcune persone che erano in piedi e che ciondolavano mollemente lasciandosi trasportare dal movimento basculante del vagone, impedivano ad entrambi di continuare a guardarsi. Le porte si aprirono e si richiusero per un paio di volte, poi lei si accorse che era arrivata e si alzò.

Lui fece altrettanto.
Lei sorrise tra se pensando di aver avuto la giusta intuizione circa la loro stessa scelta del vagone.
Per qualche secondo camminarono uno accanto all'altra, più piano di quello che avrebbero fatto se non si fossero notati.
Poi lui le chiese se aveva passato una bella serata, così come si farebbe con qualcuno che si conosce. Lei gli sorrise, gli disse di si.
Lui notò l'accento straniero di lei e gli chiese da dove venisse. Lui si presentò.
Aveva un nome bello e raro di origine irlandese.
Lei si accorse che l'espressione dura di lui si era sciolta in un sorriso, un bel sorriso.
Camminarono fuori dalla stazione.
Lui le chiese se voleva bere qualcosa, lei le disse che avrebbe voluto ma non quella sera, un'altra volta.
Lui sorrise e le disse che quello, dalle sue parti,  era un modo cortese di dire di no.
Lei gli rispose che quello, dalle sue parti,  era un modo cortese per dire " un'altra volta".
Dopo quelle formalità che avrebbero permesso di vedersi ancora si fecero compagnia per un breve tratto di strada, si salutarono con la promessa di rivedersi presto.

Ecco se questa fosse stata una storia, se questo fosse stato un romanzo, un film, un semplice racconto di narrativa questo sarebbe stato un bel inizio.
Ma questa non è una storia, e se rassomiglia a un racconto o ad un film, è solo un caso.

La vita non è un testo di narrativa e non si può scrivere con quella serenità pacificante di un racconto. La vita ci aggiungerà sempre qualcosa di ruvido, una nota stonata, un incidente che improvvisamente muta tutto quello che era nelle premesse.
Se la vita è vita, se lui e lei si fossero cercati e visti in seguito, dopo quella sera che aveva tutta la suggestione di un racconto perfetto allora non sarebbero stati felici e così come si sarebbero trovati si sarebbero  anche perduti.
La vita va anche così.



Maybe we make a deal, maybe together we can get somewhere
And finally see what it means to be living