Friday, January 22, 2010

La morte non è niente


Suonino i lenti rintocchi di una campana. Che entri il feretro. Che il silenzio lasci posto allo straziante dolore degli astanti. Gettiamo crisantemi su una fredda lapide e paghiamo l'ultimo tributo alla tua ambizione che così inaspettatamente ti ha abbandonato, condannandoti ad una vita mediocre.

Credevi sarebbe sopravvissuta mentre l'assassinavi, costringendola ad una quotidianità senza emozioni ed invece ha esalato l'ultimo respiro e non farà più ritorno. Non esiste peccato più mortale che quello di una esistenza privata della volontà di successo.

Per un momento hai brillato. Era la luce riflessa di un desiderio, della volontà di conseguirlo, della forza di possederlo ma poi lo hai fagocitato come fosse un pasto crudo, con la bramosia di un animale. Hai venduto la tua esemplare dignità per poter acquistare qualcosa che non ti creasse il dolore e lo spessore di una esistenza.
Avevi sognato una casa che fosse il tuo rifugio, la tua isola, il luogo dove far riposare le tue membra ed invece ti ritrovi in una camera che ha tutto l'aspetto di un luogo di passaggio. Madido di sudore ti rigiri nel letto e consumi le lenzuola nelle tue notti insonni. Non ti è stata risparmiata nemmeno la coscienza della perdita, la tua anima è consumata dalla consapevolezza. La tua memoria ingrata ti ricorda ogni giorno la scelleratezza del tuo gesto.

La tua nobile essenza è stata deturpata dalla lama affilata della ghigliottina della superficialità che amputa fino a sminuire. Le persone che ti sono intorno, che così generosamente chiami amici, non sanno nulla di te, fingono delicatezza di fronte alla tua riservatezza ma in realtà non gli importa nulla, non sapranno mai di quel tempo in cui sei stato felice.

Era bello credere. Avevi gli occhi pieni di vita. Avevi un pensiero che cresceva prepotente, che dominava le tue intenzioni e le guidava ma la felicità richiede un grosso tributo, un sacrificio. Era un prezzo troppo alto e sapevi di non poterlo pagare. Non hai tentato e a me piace credere che ci saresti riuscito. Alle prime luci dell'alba, mentre la stringevi ancora fra le braccia, la speranza, l'ambizione di essere un uomo migliore ti ha abbandonato.
La morte fisica non è niente di fronte alla morte della propria integrità morale.

Friday, January 15, 2010

Sliding Doors

Ho aspettato a lungo questa lettera, la carta inconsistente e le parole pesanti come piombo. Scivolano i miei occhi sulle lettere accatastate come una goccia d'acqua su un piano di lamiera reclinato. Penetrano nelle ossa come l'umido in una giornata d'inverno. Non ho più sperato in un ritorno.

"Penso che quando due persone si avvicinano così tanto è davvero un peccato mortale se poi si perdono. [...] il mio pensiero ogni tanto tornava a te e mi chiedevo " chissà cosa starà facendo?". Talora ci sono persone che pur stando ad esse sono così lontane e altre che pur non essendo fisicamente vicine, sono e saranno per sempre unite".

Non riesco a fare a meno di domandarmi perché ora, perché in questo momento della mia vita. Forse è solo una questione di coincidenze ma questa lettera che si era perduta, non in un lungo viaggio ma nel percorso che dalla penna porta alla carta, ora è qui, ed io la leggo immaginando il suono della tua voce. Una strana coincidenza, deve essere così, non può essere diversamente. Se possedessi la fede crederei in un segno ma non l'ho mai acquisita o forse l'ho perduta. Se avessi fede crederei che in tutto c'è una ragione, che passato e futuro in realtà non esistono, che c'è un unico tempo che è quello del vivere e che costantemente mi impartisce una lezione che forse non sarò in grado d' imparare. Potrei credere che tu possa rispondere alle domande che non so, che ultimamente così spesso mi sono chiesta.

"Questo senso di incompiuto, di non risolto è qualcosa che ha contribuito a spingermi a ricontattarti [...]"

Si può colmare il vuoto generato da una assenza? Quante volte ti sei chiesto di me? dimmi che ho vissuto nei tuoi ricordi, dimmi che per sempre vivrò nei tuoi pensieri che questo è forse l'unico modo che abbiamo per salvarci dalla morte.

Tu sei una persona con cui io devo "fare i conti". Direi che il termine giusto è "monstrum": in latino è una vox media, cioè significa qualcosa che fa paura, ma al contempo affascina e intriga, proprio per questo suo senso di timore che incute".

Hai ragione tu, non si può non avere paura se si tratta di me, che io stessa delle volte mi temo. Pericolosa perché mutevole e per questo non rassicurante. Orgogliosa, difficile, pretenziosa. Io ti rispondo che sono sublime così come lo intendeva Kant, così come lo intendeva Schopenahauer; il piacere che si prova osservando la potenza e la vastità di una forza che potrebbe distruggere chi l'osserva. Io sono una di quelle forze di fronte alle quali l'uomo prende coscienza del proprio limite. Il piacere è direttamente proporzionale alla paura e credimi non c'è vanto ne presunzione in quello che dico ma un profondo sottile rammarico perché consapevole che le difficoltà che genero hanno portano alle deriva molte delle persone a cui ho tenuto.

"Non me ne sono andato, ho deviato volutamente la mia traiettoria rispetto alla tua"

"L'unica cosa che ho fatto è stata di chiudere si quel capitolo, ma non per terminare il racconto, piuttosto per lasciarlo parzialmente in sospeso e poterlo riaprire più in là."

Tu puoi spiegare ed io per certo capirò, tu puoi dire ed io sicuramente perdonare. Temo solo che qualcosa sia andato perduto.

"P.s. Talvolta voler bene ad una persona significa anche privarsi della sua presenza fisica; questo atteggiamento può sembrare menefreghismo, noncuranza, disaffezione, indifferenza, in realtà è la forma più difficile d'affetto perché presuppone il superamento di un egoismo materiale, che si esprime nel "possesso" fisico, ed il passaggio a una forma di perpetuo contatto immateriale, che si esprime nella memoria viva di un sentimento."

Posso capire? voglio capire? forse no. E così lo sguardo scivola ancora in quello spazio breve che è rimasto da percorrere, lì sul piano reclinato tra la firma del tuo nome e l'ultimo spazio vuoto della pagina e poi fa un salto giù nel vuoto e si infrange come acqua su gelido marmo.














Friday, January 08, 2010

Quando crederò di averti perduto


"Un filo, sottile come il nylon, resistente come l'acciaio. Una gomena legata stretta ad una bitta di metallo che mi ormeggia alla banchina ed in mezzo un mare vasto come lo spazio, lungo come il tempo. Una cima che viaggia tra me e te. I miei polsi sottili, per sempre legati ai tuoi. La mia pena e la mia consolazione. Il segno profondo che so di averti lasciato ed il ricordo di un sigillo sulla tua bocca e sulla mia.
Tutto scorre ed anche i miei capelli sono tornati ad essere come fili d'oro, raggi di sole.
Strade che si separano, bivi che ci allontanano. Un mare nero ci inghiotte, ci risucchia entrambi in un abisso senza speranza. Parole che consumano la carta ed il cuore. Parole al veleno che ricorderai mentre il primo sole filtra tra le fessure strette dei battenti, ferendoti gli occhi, alimentando le tue sciocche convinzioni. Parole come miele che ti sembrerà di sentir pronunciare mentre la luna pallida ti osserva, che ti ricorderanno il calore ed il profumo della mia pelle, che abbatteranno le tue reticenze. Ed allora mi cercherai invano. Le mie parole, queste, torneranno ad esserti incomprensibili, presumerai cose che non conosci, tornerai ignorante. Io mi sarò portata via il sole, i sorrisi, ed il caldo buono. Io soprattutto mi sarò portata via la parte migliore di te."


E poi mentre ero distratta, in modo del tutto inatteso, del tutto inaspettato. Nel gesto di spostarmi i capelli dal viso o nelle braccia intorno ai miei fianchi. O forse le mani che mi hanno accarezzato il volto che lo hanno tenuto come fosse la cosa più preziosa e fragile. Un sussurro, una carezza, uno sguardo appena. La felicità che si costruisce in gesti che rinunciano alla platealità, un tatto leggero su corde invisibili.

Temo quasi di dichiararla come se la consistenza solida delle parole potessero frantumarla.

La rosa più bella del mio giardino perché è cresciuta fra i sassi, perché ha resistito alla siccità delle mie disattenzioni e alla tempesta delle mie ansie. Voglio cullarla, proteggerla, difenderla, farla diventare forte e piena. Voglio che si incarni in un sorriso sulla bocca e voglio che questo sorriso mi appartenga anche quando, per qualche mai troppo importante ragione, crederò di averlo perduto.