Tuesday, March 13, 2012

We used to be friends

Mi è sempre piaciuto parlarti di me, mi sembrava di avere sempre qualcosa da dirti, un aneddoto da raccontarti. Tu mi stavi ad ascoltare divertito, poi argomentavi con la tua intelligenza brillante.

Si godeva della reciproca compagnia senza grandi gesti, senza ridondanti orpelli. Le nostre esistenze si incrociavano regolarmente ma senza la puntualità del dovere.

I nostri discorsi erano sempre ironici, anche quando erano malinconici,  soprattutto se erano seri.
Eravamo reciprocamente gentili ma non per pura cortesia. Notavo la tua intransigenza ma sapevo che non l'avresti riservata a me.

Eravamo affini, complici, vicini. Ci intendevamo sui discorsi senza il bisogno di condividere la stessa opinione, ne l'uno avrebbe voluto cambiare quella dell'altra. Eravamo in armonia, eravamo in equilibrio.

Mi interessava tutto di te. Facevo parte della tua vita, avevo un ruolo che non ambiva a titoli. Quel ruolo me lo avevi dato tu ed era importante.

Poi seduti a quel tavolo non ti ho capito più, tu hai usato parole che non ho inteso.
Mi hai detto di non riconoscermi ed io ho pensato di essere un'estranea.

Le mie parole non ti sono arrivate così come succede tra due persone che non hanno mai parlato la stessa lingua, che non hanno mai condiviso gli stessi gesti.
Avrei voluto alzarmi ed andarmene per non vedere andare tutto in frantumi ma tu hai inteso il mio gesto come una provocazione, una reazione capricciosa.

Sono rimasta ad assistere sgomenta alla fine di quella proporzione perfetta che era la nostra amicizia.
E' così che abbiamo smesso di essere amici ognuno sopraffatto dai propri interessi.

Ed ora non riesco a fare nulla con la leggerezza che ti riservavo.
Ti odio e mi odio per non sapere ritrovare la strada per tornare da te. L'avevo percorsa così, senza lasciarla disseminata di segnali pensando che non sarebbe stato necessario percorrerla a ritroso cercando il punto esatto in cui ti avrei perduto.

Monday, March 12, 2012

The Tea Maker

Kakuzo Okakura  racconta, nella sua  magistrale  opera, Il " libro del Tè" come questa bevanda, nella società antica giapponese, fosse considerata una medicina, un erba curativa.

Okakura spiega come il gesto di preparare questa bevanda, ossia l'ebollizione dell'acqua, l'infusione della foglia e il rituale del servirla, fosse assunta ad una vera e propria religione estetica, il Teismo, e non meno ad una pratica cerimoniale all'interno delle arti tradizionali zen.

L'autore del libro spiega come il tè fosse considerato anche  un metodo di giudizio del comportamento degli individui: " ha poco tè" una persona che non ha potere decisionale sulla propria vita, al contrario, " ha troppo tè" colui che si lascia travolgere dagli accadimenti e dalle passioni lasciandosi sopraffare.

È con questo spirito zen e con queste considerazioni spirituali che ho deciso di ascoltare il consiglio di Roberto e di accettare la proposta della signora King di fare un giorno di prova presso gli studi fotografici Snap, in qualità di assistente di studio.
La signora King, va detto, ci aveva tenuto particolarmente a sottolineare le responsabilità del ruolo e a indicarmi con particolarità di dovizia che fondamentalmente si trattava di preparare del tè e del caffè agli ospiti dello studio.

"A foot in the door is what you want" aveva sentenziato il mio mentore  circa la mia perplessità sulle peculiarità del ruolo. In fin dei conti si tratta di uno studio molto frequentato, aveva continuato ad argomentare, e per una giovane fotografa nuova in città ogni occasione per conoscere gente influente dell'ambiente va colta senza batter ciglio.

Ricordo di aver pensato che, tutto sommato, Okakura avrebbe approvato.

E' inutile starvi a raccontare i dettagli di una inutile e penosa giornata che in nulla ha evocato la regalità del Cha no yu. Se mai voi abbiate il dubbio, sappiate che un borbottante bollitore incrostato di calcare utilizzato freneticamente per un centinaio di volte non ha niente a che spartire con il concetto di armonia, purezza e tranquillità che il cerimoniale del tè assurge come principio fondamentale per la sua corretta esecuzione.

A volte bisogna trovarsi nel posto sbagliato per comprendere veramente cosa significa ESSERE nel posto sbagliato. Ma essere nel posto sbagliato può anche significare prendere coscienza del proprio ruolo, del proprio valore e della propria strada. Ricordare durante il percorso che in nulla vogliamo avere  poco tè o troppo tè. Quello che vogliamo è raggiungere l'equilibrio, quello che vogliamo è il NIN, non la pazienza ma la perseveranza.

Ed io diabolicamente persevero.