Wednesday, March 23, 2011

Las piedras que van a saber de amores


E' arrivato il tempo di ripartire.
Sapevo sarebbe successo.

Un placido sole e una brezza primaverile mi hanno sfiorato le gambe, hanno fatto ondeggiare l'orlo della gonna, mi hanno baciato le guance accarezzandomi piano i capelli poi il vento si è raffreddato nella bruma di una sera di primavera.

Guardo la città spiegarsi sotto i miei occhi. La Barcellona dei romanzi di Zafón, con le anguste stradine "tra edifici tetri e cadenti che sembrano chinarsi come salici di pietra per chiudere la linea di cielo ritagliata dai tetti".

Sento un nodo alla gola e non posso fare a meno di ricordare il giorno in cui sono arrivata con una valigia piena di cose e un cuore ancora più pesante.

Morii qui, mi lasciai in eredità alla terra, vagai come un fantasma tra le strade strette inondate di luce bianca e consumate dal sale e dal sole.
E dalle ceneri rinacqui come una fenice.

Vorrei portare via ogni cosa, le quattro mura di questa stanza, la vista dal mio balcone, il brusio di calle Provença che si placa solo quando è sera. Ed invece devo lasciare tutto qui, come il mio dolore.
Ai luoghi si rimane imprigionati, una parte di te rimane incollata sulle superficie porosa degli edifici, nei lastricati lisci delle strade, sulle indicazioni metalliche dei segnali stradali, nel riverbero luminoso delle insegne dei negozi.
Così come una parte della città continuerà a palpitarti nelle vene e ti porterai via un mondo che altri percepiranno sempre come straniero.

Bisogna andare, partire è il prezzo da pagare per chi ha tante, forse troppe ambizioni.

Un addio che durerà due mesi, poi tutto ricomincerà altrove, una volta ancora, come sempre.